Lavoro occasionale pronto al debutto

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Arrivano i nuovi «voucher»: per le imprese compenso minimo da 36 euro, pari a quattro ore

Si chiamerà «Presto» il nuovo contratto di prestazione occasionale messo a punto dall’Inps per aprire la stagione del dopo-voucher. Con qualche giorno di ritardo rispetto al 30 giugno annunciato dal governo, ieri l’Istituto guidato da Tito Boeri ha pubblicato la circolare 107/2017 con le indicazioni operative per l’utilizzo del nuovo lavoro occasionale introdotto dal decreto legge 50/2017 in sostituzione del lavoro accessorio, retribuito con i voucher che sono stati aboliti il 17 marzo scorso. «Presto», così chiamato da Boeri nella relazione annuale di due giorni fa, sarà operativo da lunedì 10 luglio sulla piattaforma telematica dell’Inps, che per soddisfare una domanda che ci si aspetta molto elevata, e sarà garantito il supporto anche dei servizi di contact center per mini-aziende o singoli datori di lavoro o lavoratori che vorranno registrarsi.
In pochi giorni bisognerà dunque prendere confidenza con le nuove regole che prevedono due diverse forme contrattuali: il libretto famiglia, se il datore di lavoro è una persona fisica non nell’esercizio di impresa o di libera professione, e il contratto di prestazione occasionale per gli altri datori di lavoro.
Importi minimi
La circolare, firmata dal direttore generale dell’Inps, Gabriella Di Michele, fornisce precisazioni importanti, a partire dagli importi in gioco, che per il «Presto» utilizzabile dalle famiglie resta di 10 euro. Il Dl, con una formulazione non chiara, ha previsto che il valore nominale di ciascun titolo di pagamento sia di 10 euro, e a carico dell’utilizzatore ci siano 1,65 euro di contributi previdenziali, 0,25 euro di premio Inail e 0,10 di oneri gestionali. Come evidenziato nelle schede di lettura del Senato, il testo lasciava presupporre che tali importi fossero aggiuntivi rispetto ai 10 euro. Invece secondo l’Inps sono inclusi, e quindi il netto pagato al lavoratore è di 8 euro invece dei 7,5 del passato.
Per quanto riguarda il contratto di prestazione occasionale, che deve essere utilizzato da tutti i soggetti “non famiglie”, il compenso minimo orario è di 9 euro, ma si dovranno pagare almeno 36 euro, cioè il corrispettivo di quattro ore, anche se quelle effettivamente lavorate saranno meno. Ai 9 euro va aggiunto il 33% di contribuzione Inps (2,97 euro), 3,5% di premio Inail (3,2 euro) arrivando così a 12,29 euro. Su questo importo, precisa ancora l’Inps, si applica l’1% di oneri di gestione che fanno salire il costo totale minimo orario per l’utilizzatore a 12,41 euro. Quest’ultimo può riconoscere anche un importo superiore, mentre in agricoltura il minimo è più basso, e pari a quanto stabilito dai contratti collettivi.
Limiti massimi
Confermato, invece, che in base alle nuove regole ogni lavoratore può incassare non più di 5mila euro all’anno, con un limite di 2.500 per singolo utilizzatore. Quest’ultimo, a sua volta, non può erogare più di 5mila euro di compensi all’anno sommando tutto il personale coinvolto, importi che, chiarisce l’Inps, sono riferiti al netto incassato dal lavoratore, quindi senza contributi, premi e commissioni. Il decreto legge 50/2017 prevede, però, che per pensionati, studenti under 25, disoccupati, beneficiari di reddito di inclusione, gli importi effettivamente erogati siano considerati al 75% del loro valore solo per il limite a carico dell’utilizzatore. I prestatori non potranno quindi andare oltre i 5.000 o i 2.500 euro netti effettivi.
Conferma anti abusi
Come già anticipato da una nota del governo, il lavoratore, nel caso del contratto di prestazione occasionale, ha la possibilità di confermare l’effettiva avvenuta prestazione (il dettaglio della procedura è illustrato a fianco). Infatti l’utilizzatore, dopo aver effettuato la comunicazione preventiva obbligatoria sulla piattaforma Inps, può revocarla nei tre giorni seguenti a quello dell’attività prevista, nel caso in cui non si sia svolta. Una possibilità che potrebbe essere veicolo di abusi. Per questo motivo il lavoratore potrà entrare nella piattaforma e confermare di aver veramente eseguito la prestazione, inibendo in tal caso la revoca da parte del committente. Oppure se quest’ultimo la revocherà prima della conferma, il lavoratore sarà informato tramite sms e potrà intervenire per comunicare di aver svolto l’attività, garantendosi il diritto all’accredito del compenso.
Infine l’ultimo scampolo di vita dei vecchi voucher: continueranno a essere erogati per tutto il 2017 solo nell’ambito del bonus baby sitter alternativo al congedo parentale. Dal 2018 per pagare tali prestazioni si passerà al libretto famiglia. Confermato che per tutto quest’anno potranno essere ancora utilizzati, secondo le procedure preesistenti, i voucher richiesti prima della loro abolizione.

Soluzione non legata solo a criteri quantitativi
Dal 2003 il legislatore si è esercitato a disciplinare il lavoro accessorio occasionale, passando da una regolamentazione delimitata ad alcuni ambiti di attività o a lavoratori con particolari caratteristiche soggettive a una incentrata sul compenso entro un massimale. L’aumento esponenziale del ricorso ai voucher ha portato, per scongiurare il referendum promosso dalla Cgil, all’abolizione del lavoro accessorio con il Dl 25/2017. Una decisione draconiana che ha evitato di esercitarsi con la realtà del mondo del lavoro, fatto di bisogni di servizi occasionali da parte di famiglie e imprese. Non si tratta di confondere il lavoro e, per esempio, di sfuggire all’inquadramento del rapporto subordinato per quelle relazioni stabili caratterizzate dalla dipendenza. Si tratta, però, di prendere atto che tra le mura domestiche o nell’ambito dell’impresa ci sono tante occasioni di lavoro “puntuali” generate da esigenze saltuarie e fuori dal cuore dell’attività aziendale.
Il pressing di famiglie («Come pagare, dopo la fine dei voucher, la prestazione di qualche ora per la manutenzione del giardino? Come evitare il nero per chi aiuta una volta al mese a pulire i vetri?») e del mondo produttivo ha portato alla nuova regolamentazione con il decreto legge 50/2017.
L’articolo 54 bis stabilisce che il lavoro occasionale è possibile con una serie di limiti quantitativi: per esempio, 5mila euro per ciascun utilizzatore; 5mila euro per ciascun prestatore tenendo conto di tutti i committenti; 2.500 euro per prestatore rispetto a un unico committente e, per le imprese, il limite di cinque dipendenti. È poi escluso che un’impresa possa richiedere lavoro occasionale a un lavoratore che sia stato suo dipendente o collaboratore da meno di sei mesi. Per le imprese agricole, che – chiarisce la circolare Inps – non possono, come tutte le imprese, superare i cinque dipendenti per l’utilizzo del lavoro occasionale c’è poi un ulteriore limite nella platea di quanti possono essere coinvolti: studenti, pensionati, disoccupati.
Tutti paletti che, insieme con la tracciabilità informatica attraverso l’Inps, dovrebbero scongiurare un ricorso elusivo al nuovo lavoro occasionale. Tutto questo è un bene, perché il ricorso al lavoro occasionale a fronte, invece, di rapporti di lavoro stabili costituisce concorrenza sleale. Resta però ineludibile la necessità di far funzionare, per le prestazioni occasionali, una regolamentazione che tenga conto della specificità. Va tenuto presente che con l’abbandono della definizione del lavoro accessorio attraverso il limite ai compensi, si torna – a tutti gli effetti – alla responsabilità del datore di lavoro di “provare”, in caso di contestazione, l’occasionalità, pena la sanzione della trasformazione del rapporto in lavoro subordinato.
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