
La Suprema Corte chiarisce che per le imprese non immobiliari non è sufficiente la mera titolarità di un immobile destinato formalmente a uso ufficio per giustificare deducibilità e detraibilità
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13755 del 22 maggio 2025, ha stabilito che gli immobili di proprietà di una società pur se destinati a uso ufficio, ma locati a terzi per finalità abitative, non possono essere considerati strumentali all’attività d’impresa quando manca un collegamento diretto con l’attività produttiva, escludendo di conseguenza la deducibilità dei relativi costi e la detraibilità dell’IVA.
Il caso esaminato riguardava una società del settore meccanico, proprietaria di un immobile accatastato A/10 (uffici) ma locato a terzi per uso abitativo. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deducibilità dei costi di manutenzione e la detraibilità dell’IVA. Mentre il giudice di secondo grado aveva dato ragione alla società ritenendo l’immobile strumentale per la sola classificazione catastale, la Cassazione ha ribaltato questa interpretazione.
I giudici della Suprema Corte hanno stabilito che la valutazione della strumentalità deve essere condotta in concreto, verificando l’effettiva correlazione tra il bene e l’attività produttiva dell’impresa. La mera classificazione catastale a uso ufficio non rende automaticamente strumentale un immobile se questo non è effettivamente utilizzato per l’esercizio dell’attività aziendale.
La decisione si fonda sui principi di correlazione e inerenza. Il primo, previsto dall’articolo 109 del TUIR, stabilisce che sono deducibili i costi per beni da cui derivano ricavi che concorrono alla formazione del reddito. Il principio di inerenza richiede che il costo sia riferibile all’attività di produzione o scambio di beni e servizi. Per l’IVA, è necessario un nesso diretto e immediato tra il bene acquisito e l’attività d’impresa.
Fonte: FiscoOggi