Affitti, l’addio ai contratti lunghi e la cedolare secca che non conviene più

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L’inflazione in aumento rende meno conveniente la cedolare secca per gli affitti. Con i canoni non aggiornati, proprietari di casa sempre meno propensi ai contratti a lungo termine. Nell’ultimo trimestre 2022 offerta in calo del 60% a Roma, del 49% a Milano e del 40% a Napoli e Torino

L’inflazione sconvolge il mercato dell’affitto

Lo scorso settembre scrivevamo che il rialzo dell’inflazione rischiava di sconvolgere il mercato dell’affitto. All’inizio del 2023 quel rischio è diventato realtà. Le case in affitto con i contratti tradizionali stanno letteralmente sparendo dal mercato. Secondo i dati del portale idealista.it nel quarto trimestre del 2022 l’offerta di abitazioni in locazione era inferiore del 36% rispetto all’analogo periodo del 2021. Nel terzo trimestre il calo era stato del 43,5% ma ovviamente riducendosi l’offerta complessiva anche il trend di diminuzione rallenta. Per citare solo i dati riguardanti le quattro maggiori città del Paese, la Capitale nell’ultimo periodo dell’anno ha fatto segnare -60%, Milano -49%, Napoli e Torino -40%.

Non si affitta più?

Significa che nessuno affitta più? No, semplicemente che le due tipologie di affitti di lunga durata (il contratto ordinario di 4+4 anni e quello concordato di 3+2) in questo momento hanno scarsissimo appeal perché se si applica la cedolare secca non è possibile aggiornare annualmente il canone all’incremento Istat del costo della vita. Il proprietario, ad esempio, che abbia in corso un contratto da un anno oggi deve rinunciare ad applicare un aumento dell’11,3%, che invece sarebbe possibile optando per la tassazione ordinaria a Irpef, che però nella stragrande maggioranza dei casi è decisamente più onerosa rispetto alla cedolare secca. Così si preferisce puntare su contatti di durata breve o addirittura brevissima, come gli affitti turistici nelle città d’affari e soprattutto nei centri turistici. Il crollo dell’offerta di locazioni di lunga durata nelle grandi città sta portando come conseguenze l’aumento dei canoni, l’abbassamento della qualità media dell’offerta (sul mercato vanno case poso appetibili per gli affitti brevi) e l’impossibilità per molti, soprattutto giovani, di trovare un’abitazione adeguata visto che l’alternativa dell’acquisto deve fare i conti con il caro mutui.

Cedolare secca, come funziona

Ricordiamo in breve che con la cedolare secca negli affitti liberi 4+4 si paga il 21% sul canone e così si assolvono tutti gli obblighi relativi a Irpef e imposte di registro. Nei contratti concordati l’aliquota scende addirittura al 10% e si ha anche uno sconto del 25% sull’Imu. Con il regime ordinario si paga l’aliquota marginale con un abbattimento ridicolo (5%), inoltre si pagano le addizionali regionale e comunale e l’imposta di registro.

Il caso dei contratti brevi

Sui contratti brevi la cedolare è comunque applicabile ma non si pone il problema dell’indicizzazione. Ogni contratto fa storia a sé e si può decidere il prezzo a seconda dell’andamento della domanda. Nomisma calcola che in una grande città come Roma o Milano in 110 giorni con gli affitti brevi si ottiene lo stesso incasso lordo che si incamera con un anno di affitto tradizionale. A Milano nelle zone più richieste per la week design (ad esempio il Tortona district) in una settimana si incassa almeno quanto in due mesi con un contratto di lunga durata. Certo parliamo di lordo: le imposte, applicando la cedolare, sono le medesime, ma le spese di gestione degli affitti brevi sono ben più alte e in realtà se si vuole guadagnare bene dal proprio immobile bisogna curare in proprio la gestione degli ospiti e in quel caso l’incasso netto non è solo frutto di un investimento ma di una vera e propria attività lavorativa.

La scelta della cedolare non è irrevocabile

La scelta della cedolare secca viene esplicitata in fase di contratto e comunicata alle Entrate. Su questo punto bisogna essere molto chiari: la scelta della cedolare non è irrevocabile, il contribuente può optare in un momento successivo per la tassazione ordinaria, ma la rinuncia alla rivalutazione del canone vale comunque per tutta la durata del contratto. Però è possibile il processo inverso: ogni anno, prima del pagamento dell’imposta di registro, il proprietario che ha optato per la tassazione normale può passare alla cedolare secca. Rinunciando beninteso da quel momento in poi all’adeguamento del canone.

Come orientarsi

Ma quando vale la pena di scegliere la tassazione ordinaria? Deve verificarsi una situazione per cui che si abbia diritto a un totale di detrazioni che porterebbe il contribuente all’incapienza parziale o totale se al reddito imponibile non si aggiungesse quello delle locazioni. In genere questo è possibile solo per redditi molto bassi. Oppure per redditi medio alti ma con detrazioni altissime, come potrebbe essere il caso di chi deve pagare ricongiunzioni previdenziali molto onerose o per chi opta per ottenere direttamente il rimborso del superbonus senza passare per le forche caudine della cessione del credito.

Fonte: Corriere della sera

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