La nomina giudiziale dell’amministratore di condominio

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La procedura di nomina giudiziale dell’amministratore di condominio è volta a salvaguardare i diritti dei condòmini, in caso di inerzia dell’assemblea. La nomina di un amministratore è obbligatoria qualora il numero dei condòmini sia superiore ad otto, come disposto ai sensi dell’art. 1129 c.c., comma 1, come modificato dall’art. 9 della L. 220/2012.
Qualora l’assemblea non abbia provveduto alla nomina, uno o più condòmini o l’amministratore dimissionario possono richiedere la nomina all’autorità giudiziaria: per tale procedura è competente il Tribunale del luogo dove si trova il condominio e il ricorso, presentato presso lo stesso, deve indicare: la necessità della nomina dell’amministratore per non avere l’assemblea condominiale provveduto alla nomina, allegando copia del verbale negativo dell’assemblea; l’istanza di nomina dell’amministratore; e la fissazione dell’udienza per la decisione. Come chiarito dalla giurisprudenza della Suprema Corte, tale procedimento, sia esso di nomina, sia esso di revoca dell’amministratore di condominio, è finalizzato esclusivamente alla tutela dell’interesse generale e collettivo del condominio ad una sua corretta amministrazione (Cass. civ., sez. II, 26.09.2005, n. 18730).
Da tanto si evince che le attribuzioni dell’amministratore nominato dall’autorità giudiziaria sono quelle previste dall’art. 1130 del c.c., nonché quelle che il Tribunale competente gli conferirà nell’ambito dell’amministrazione della cosa comune. L’amministratore giudiziario in primo luogo deve curare l’eliminazione delle irregolarità della precedente amministrazione e quindi curare il ripristino della correttezza e della legalità nella conduzione dell’amministrazione condominiale (Cass. civ., sez. II., 12.11.2002, n. 15858).
I motivi per richiedere la nomina mediante volontaria giurisdizione sono i seguenti:
1) omesse tempestive comunicazioni all’assemblea riguardanti una citazione (o un provvedimento amministrativo) a lui notificata, dal contenuto che esorbita dalle sue proprie attribuzioni;
2) mancata presentazione per due anni consecutivi dei conti della gestione, salvo il caso di impossibilità a lui non imputabile;
3) fondati sospetti e non semplici congetture di gravi irregolarità nell’amministrazione.
Venendo al caso in questione, come sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 14088, del 15.12.1999, l’amministratore del condominio è legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condòmini e dei terzi al fine di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini; disciplinare l’uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i partecipanti al condominio; riscuotere dai condòmini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea; compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.
Inoltre, in base al combinato disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c., la legittimazione processuale attiva dell’amministratore di un condominio è delimitata dai poteri sostanziali che per legge gli spettano, o ampliati, nell’ambito della realizzazione dell’interesse comune, dal regolamento condominiale o da valida delibera assembleare. Pertanto, le delibere che l’amministratore, ai sensi dell’art. 1130, n. 1, c.c., è legittimato ad eseguire, agendo a tal fine anche in giudizio, sono soltanto quelle che rientrano nei poteri deliberativi dell’assemblea, non incidendo sui diritti esclusivi dei singoli condòmini (Cass. civ., sez. II, 14.01.1997, n. 278).

Quotidiano Del Condominio

 

 

 

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