Lavori non eseguiti a regola d’arte: contratto nullo o risarcimento?

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Come contestare i lavori mal eseguiti: lavori in condominio o nell’appartamento privato. Come ottenere il risarcimento dei danni.
Non è raro che tra una ditta appaltatrice e il committente, proprietario dell’immobile, possano sorgere delle discussioni in merito alla qualità dei lavori eseguiti, ai tempi di realizzazione e, soprattutto, agli importi richiesti in pagamento. Quando le parti non riescono ad accordarsi, si finisce in tribunale. Il giudice decide la causa tenendo innanzitutto conto di quanto previsto nel contratto e, in caso di lacune o di mancanza dell’accordo scritto (potendo l’appalto essere concluso anche verbalmente), applicherà le norme del Codice civile in materia di appalti. Vediamo allora come contestare i lavori mal eseguiti ed, in particolare, se, in caso di lavori non eseguiti a regola d’arte, il contratto è nullo o spetta il risarcimento.
Le informazioni che forniremo qui di seguito valgono sia per quanto riguarda i lavori condominiali che quelli eseguiti nelle singole unità abitative, nelle villette e, insomma, in qualsiasi proprietà privata (per gli appalti pubblici esiste infatti una disciplina autonoma).
Indice
1 Responsabilità appaltatore
2 Cosa fare se i lavori non sono a regola d’arte?
3 Chi trascinare in tribunale?
4 I termini per contestare i lavori non a regola d’arte
5 Come si calcola il risarcimento dei danni
Responsabilità appaltatore
L’appaltatore è sempre responsabile nei confronti del committente per i vizi o le difformità della prestazione, anche se dipendenti dal fatto del subappaltatore.
Una volta eseguita l’opera, l’appaltatore deve garantire che questa non abbia vizi (cioè difetti sulle modalità o qualità dell’opera rispetto alle regole dell’arte) oppure difformità (cioè discordanze rispetto alle prescrizioni contrattuali o del progetto). Nel contratto le parti possono ampliare o restringere tale garanzia.
L’appaltatore è responsabile per vizi o difformità anche nei seguenti casi:
vizi o difformità non gravi, salvo diversa previsione nel contratto;
opera realizzata in base a un progetto altrui, dovendo sempre rispettare le regole dell’arte;
opera realizzata con l’ingerenza del committente, purché, in capo all’appaltatore, permanga una sfera di autonomia e discrezionalità;
vizi o difformità imputabili a errori di progettazione o direzione dei lavori se, accortosi del vizio, non lo ha subito comunicato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso.
Cosa fare se i lavori non sono a regola d’arte?
In presenza di vizi o difformità delle opere realizzate, l’appaltatore è tenuto a:
eliminarle a proprie spese;
oppure a ridurre il prezzo richiesto.
In ogni caso, il committente può chiedere anche il risarcimento del danno.
Se però le difformità o i vizi dell’opera sono tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto (ossia lo scioglimento del vincolo).
Il committente non può chiedere al giudice sia la risoluzione del contratto che il risarcimento. Le due cose sono incompatibili. O si sceglie l’una o l’altra. E questo perché se si chiede un risarcimento, si dà per buona l’operatività del contratto ma si contesta solo l’esecuzione dell’opera evidentemente non perfetta e per la quale quindi si chiede di essere risarciti. Quando invece si agisce per la risoluzione contrattuale si chiede sostanzialmente di travolgere il rapporto contrattuale, di porlo nel nulla.
Chi trascinare in tribunale?
In generale, l’azione per far valere in giudizio i vizi e le difformità dell’opera è esercitata nei confronti dell’appaltatore.
Oltre all’appaltatore possono però essere chiamati a rispondere anche il progettista, se i vizi e le difformità nell’esecuzione dell’opera dipendono anche da suoi errori, e il direttore dei lavori sotto il cui controllo si sono svolte le opere. Il direttore dei lavori è responsabile quando l’inosservanza dei patti o delle regole dell’arte dipende da sua colpa o quando ha omesso di vigilare e impartire disposizioni per la corretta realizzazione dell’opera, senza controllare l’ottemperanza a tali regole da parte dell’appaltatore, anche attraverso visite periodiche e contatti diretti con i tecnici dell’impresa.
Il committente può agire, indifferentemente, contro l’uno o l’altro soggetto per il risarcimento del danno subito, fermo restando il potere di chi ha subito l’azione di agire in via di regresso verso il corresponsabile.
Ad agire contro tali soggetti è chiaramente solo il proprietario dell’immobile o, nel caso del condominio, l’amministratore su delega dell’assemblea e/o anche ciascun singolo condomino in proprio.
I termini per contestare i lavori non a regola d’arte
Quando il committente riscontra difformità dell’opera rispetto al progetto convenuto o vizi intrinseci della stessa, deve denunciarli all’appaltatore entro 60 giorni dalla scoperta e deve avviare la causa entro i successivi due anni.
La denuncia può riguardare solo vizi occulti, mentre quelli palesi e riconoscibili possono essere fatti valere solo in sede di verifica o collaudo.
La denuncia non è necessaria:
se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi;
se li ha nascosti;
se l’appaltatore è pienamente consapevole dell’esistenza dei vizi e del loro carattere occulto e nonostante ciò assume un comportamento reticente e di mala fede.
Il termine decorre non da quando compaiono i vizi ma dal momento in cui il committente si rende conto che il vizio o il difetto deriva dall’imperfetta esecuzione dell’opera da parte dell’appaltatore. Il che significa che questi deve aver acquisito una piena consapevolezza del rapporto di causa-effetto, normalmente acquisibile con una perizia di parte. Ad esempio, in caso di difetti ad un impianto termoidraulico, il termine per la denuncia decorre non dal momento in cui il committente ha sottoscritto per accettazione la dichiarazione di conformità dell’impianto a regola d’arte rilasciatogli dall’impresa appaltatrice, ma dal giorno in cui il committente riceva l’esito degli accertamenti tecnici dallo stesso richiesti ad un tecnico, volti a verificare e comprendere la gravità e la causa dei vizi stessi.
Se il committente è un condominio la conoscenza dei vizi si acquisisce dal momento in cui essi sono evidenziati nel verbale dell’assemblea condominiale; il termine, perciò, decorre dal momento in cui i condomini hanno avuto conoscenza del vizio, a prescindere dal deposito di una verifica tecnica.
Tali termini valgono sia che il committente voglia chiedere la risoluzione del contratto sia che il risarcimento del danno.
Come si calcola il risarcimento dei danni
In merito alla quantificazione dei danni, il committente deve conseguire la medesima utilità economica che avrebbe ottenuto se l’inadempimento dell’appaltatore non si fosse verificato, utilità rapportata all’importo necessario per l’eliminazione dei vizi e delle difformità oppure al valore in base al quale gli stessi vizi e difformità incidano sull’ammontare del corrispettivo in denaro pattuito [1].
La regola suesposta deve essere applicata anche nel caso in cui il committente intenda avvalersi del solo risarcimento del danno, normalmente consistente nel ristoro delle spese sopportate dall’appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai necessari lavori ripristinatori.
Fonte: laleggepertutti

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